SANATORIA SISMICA: IL TASSELLO MANCANTE NELLE DISPOSIZIONI VIGENTI
di Gianluigi Maccabiani
di Gianluigi Maccabiani
27/09/2025
Con l’entrata in vigore del decreto cosiddetto Salva-casa, il legislatore ha apportato significative modifiche al DPR 380/2001 (Testo unico dell’edilizia), introducendo strumenti volti a regolarizzare alcune tipologie di interventi edilizi anche sotto il profilo antisismico.
In particolare, sono stati codificati due ambiti di rilevanza: da un lato, le difformità riconducibili alle tolleranze costruttive (art. 34-bis), dall’altro le parziali difformità e le variazioni essenziali (art. 36-bis).
In entrambe le ipotesi minori così individuate, il legislatore ha previsto espressamente la possibilità di presentare, in via postuma, la documentazione antisismica, dando così copertura legale a situazioni che, fino a poco tempo fa, erano destinate a rimanere in un limbo interpretativo.
A differenza di quanto previsto per le difformità minori, il discorso cambia per gli abusi edilizi più gravi, riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 36 DPR 380/2001. In questi casi, il decreto Salva-casa non ha introdotto alcuna disposizione che consenta una regolarizzazione antisismica. Evidentemente il legislatore ha ritenuto più gravi gli abusi costituiti da opere eseguite in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal permesso, in assenza di SCIA alternativa e in totale difformità dalla SCIA alternativa.
L’assenza di un meccanismo analogo a quello previsto dagli artt. 34-bis e 36-bis sembra confermare la linea dura (già peraltro consolidata in giurisprudenza, in particolare dalla Corte di Cassazione): per le opere abusive più rilevanti non è consentita la sanatoria sismica, in quanto l’ordinamento non ammette la presentazione postuma né del deposito né dell’autorizzazione sismica.
Occorre fare un passo indietro. Prima dell’approvazione del decreto Salva-casa, la giurisprudenza aveva in parte riconosciuto la necessità di acquisire a posteriori i titoli sismici, colmando, seppur in maniera forzata, le lacune normative.
Emblematica, in questo senso, fu la sentenza del Consiglio di Stato n. 3645/2024, che delineò una via di regolarizzazione, seppur nell’ambito di un quadro normativo carente, con la possibilità di presentare a posteriori il deposito sismico o l'istanza di autorizzazione (dove prevista). Si tratta di una "possibilità" che doveva essere letta come "obbligo", per ottenere la sanatoria edilizia (si rimanda all'approfondimento completo su questa sentenza al link: https://www.sismicainlombardia.it/approfondimenti/sanatoria-sismica-missione-impossibile).
Tale impostazione, tuttavia, deve oggi considerarsi superata, proprio a seguito della pubblicazione del decreto Salva-casa: le pronunce successive, fra cui il Consiglio di Stato n. 9355/2024 e la Cassazione n. 5536/2025, hanno chiarito, stavolta in modo inequivocabile, che la sanatoria sismica per gli abusi rientranti nell’art. 36 non è giuridicamente praticabile, perché non è possibile presentare istanza per acquisire a posteriori i titoli sismici.
Le più recenti decisioni sopra citate richiamano un principio cardine già noto da tempo in giurisprudenza: il sistema di vigilanza in materia sismica è costruito dal legislatore come controllo preventivo. Le norme del DPR 380/2001 parlano chiaro in tema di costruzioni in zona sismica:
l’art. 93 impone il preavviso scritto allo sportello unico, con trasmissione al competente ufficio tecnico regionale (o comunale, dove previsto);
l’art. 94 richiede in aggiunta un'autorizzazione preventiva, quando prevista.
L’impianto normativo per le zone sismiche, dunque, non ammette margini per un deposito o un’autorizzazione postuma. Ed è proprio questa impostazione a giustificare, sul piano giuridico teorico, il divieto di regolarizzazione per gli abusi più gravi.
Veniamo ora al “tassello mancante”: ci sono casi in cui le opere abusive, pur qualificabili come "gravi" ai sensi dell’art. 36, sono state realizzate prima della classificazione sismica della zona. In tali situazioni, l’assenza del deposito sismico non ha impedito alcun controllo preventivo, semplicemente perché l’obbligo di deposito non esisteva.
Proprio in queste fattispecie la rigidità dell’attuale disciplina appare assolutamente non giustificabile: vietare la regolarizzazione anche laddove non vi è stata alcuna violazione di principi di prevenzione significa lasciare irrisolte situazioni che, invece, meriterebbero una soluzione normativa coerente; soluzione che, però, non è indicata nell'art. 36 del DPR 380/2001.
Non a caso, alcune legislazioni regionali, anche a seguito dell’entrata in vigore del decreto Salva-casa, continuano a prevedere la possibilità di sanare gli abusi di maggiore gravità sotto il profilo antisismico. Ciò conferma la presenza di un vuoto a livello nazionale, che il legislatore non ha colmato e che lascia spazio alle discipline e prassi differenziate sul territorio.
Alla luce del quadro attuale, deve ritenersi che per gli interventi abusivi riconducibili all’art. 36 del DPR 380/2001 non sia consentita la sanatoria antisismica. Tuttavia, a parere di chi scrive, dovrebbero trovare riconoscimento normativo almeno gli interventi eseguiti quando la zona non era ancora classificata sismica. Per tali ipotesi, sarebbe auspicabile poter seguire la procedura di regolarizzazione modellata sull’art. 36-bis, comma 3-bis, che già disciplina la possibilità di deposito sismico postumo per le difformità minori.
Naturalmente, si tratta di presentare un deposito sismico a posteriori, nel quale deve essere evidenziata (quando possibile!) la "doppia conformità" delle opere già eseguite rispetto alle norme tecniche e alla sismicità in vigore sia al tempo dell'abuso, sia oggi (NTC 2018).
Resta comunque salva, a giudizio di chi scrive, la possibilità di “regolarizzare” le opere abusive, anche più gravi (art. 36), laddove si tratti d interventi che non possono in alcun modo influire sulla pubblica incolumità, ai sensi dell’art. 83 DPR 380/2001.
Resta invece un errore, sempre a giudizio di chi scrive, l’aver predisposto la Modulistica Edilizia a seguito del decreto Salva-casa (approvata ormai dalla maggior parte delle regioni) con l’opzione che indica di escludere dalla procedura di regolarizzazione sismica le opere senza “rilevanza strutturale”: è noto infatti che l’ambito di applicazione dell’originaria L. 64/1974 per le costruzioni in zona sismica non includeva soltanto gli elementi “strutturali” delle costruzioni, bensì (art. 1) “[…] l’osservanza delle norme tecniche riguardanti i vari elementi costruttivi […]” (oggi art. 52 del D.P.R. 380), così come confermato dalla giurisprudenza consolidata, per l’esecuzione di elementi anche “non strutturali” appunto [NOTA 1].
Il decreto Salva-casa ha segnato un passo importante nella razionalizzazione della disciplina edilizia, ma ha lasciato irrisolta una questione centrale: la regolarizzazione antisismica per gli abusi più gravi. Senza interventi legislativi mirati, il rischio è quello di consolidare una disparità di trattamento ingiustificata, con riferimento a quelle opere realizzate in contesti nei quali l’obbligo di presentare la pratica sismica non era ancora vigente.
Colmare questo “tassello mancante” è oggi una delle sfide principali per rendere la disciplina edilizia e antisismica più equa e coerente.
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