IL RACCORDO TRA "SANATORIA" SISMICA E SANATORIA EDILIZIA, SECONDO LA CASSAZIONE

di Gianluigi Maccabiani

02/03/2023

Cosa dice oggi la Cassazione

Nella sentenza n. 2357 del 20 gennaio 2023, la Cassazione giunge alla sostanziale conclusione che quando bisogna regolarizzare un intervento abusivo in un comune che ricadeva (al tempo dell’abuso) o ricade (al giorno d’oggi) in zona sismica, se le parti eseguite in difformità rispetto al titolo edilizio richiedevano (al tempo dell’abuso) o richiederebbero (al giorno d’oggi) il preventivo deposito sismico (art. 93 DPR 380) oppure l’istanza di autorizzazione sismica (art. 94), allora l’ottenimento del permesso in sanatoria di cui all’art. 36 del DPR 380 non è possibile in alcun modo.

Le novità rispetto al passato

Con la sentenza dello scorso gennaio 2023, la Corte di Cassazione conferma nuovamente che non è possibile ottenere una "sanatoria" per i reati di violazione degli adempimenti previsti nel DPR 380/2001 agli articoli 93 e 94, relativi al mancato deposito sismico o alla mancanza di autorizzazione sismica.

Però in questa occasione la Corte ci informa che la sua pronuncia va oltre rispetto ai suoi interventi del passato, perché cerca per la prima volta di trovare un vero e proprio raccordo tra la "sanatoria” sismica e la sanatoria edilizia: i giudici della Suprema Corte affermano dunque che non è possibile rilasciare alcun permesso di costruire in sanatoria edilizia ai sensi dell'articolo 36 del DPR 380 quando è necessario dimostrare la doppia conformità anche per la disciplina antisismica.

La doppia conformità “formale”

Facciamo un passo indietro: nel 2013 la Corte Costituzionale (che è “il giudice delle leggi”) aveva evidenziato che “la verifica della doppia conformità, alla quale l’art. 36 del testo unico subordina il rilascio dell’accertamento di conformità in sanatoria, deve riferirsi anche al rispetto delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per l’edilizia, sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento di presentazione della domanda di sanatoria [...] "Deve pertanto ritenersi che l’accertamento del rispetto delle specifiche norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per conseguire il titolo che consente di edificare, al quale si riferisce il criterio della doppia conformità".

Oggi la Corte di Cassazione penale vorrebbe chiudere il cerchio, basandosi anche sul documento del 2013 appena citato e su altri pronunciamenti della giustizia amministrativa, e tracciando con precisione i limiti del permesso nella sanatoria edilizia. In particolare, quando in qualsiasi modo le difformità edilizie eseguite nel passato possono aver inciso sui livelli di sicurezza degli elementi costruttivi (strutturali o non strutturali) in condizione sismica, allora l'intervento edilizio abusivo richiede la verifica di doppia conformità (nei due momenti temporali) non solo per gli aspetti edilizi e urbanistici ma anche per quelli antisismici.

E per mettere in regola l’abuso, non solo è necessario controllare la doppia conformità sostanziale alle “norme tecniche” antisismiche (garantendo cioè che le parti eseguite in modo difforme rispetto al titolo edilizio siano rispettose della sismicità e dei livelli di sicurezza stabiliti dalle norme tecniche oggi in vigore come se gli interventi fossero ancora da eseguire), ma "sarebbe" anche necessario mettere tutto  in regola “formalmente”, tramite un deposito sismico a posteriori o un'istanza postuma di autorizzazione sismica, perché indipendentemente dalla sismicità della zona al momento dell’abuso, oggi di certo tutti i comuni d’Italia sono in zona sismica.

Il testo della sentenza lascia intendere che le “norme sismiche” a cui si deve fare riferimento per il concetto della “doppia conformità” comprendono non solo le “norme tecniche” antisismiche, ma in generale tutte le norme del DPR 380 che regolano la “disciplina antisismica”. Perciò la verifica di doppia conformità va applicata sia nella sostanza che nella forma.

Le leggi non prevedono la regolarizzazione “formale”

Tuttavia, a questo punto la Cassazione fa notare che il deposito e l’autorizzazione a posteriori non sono previsti da alcuna legge nazionale e che quindi la regolarizzazione edilizia in sanatoria secondo l’art. 36 del DPR 380 non è possibile. Perché le leggi che regolano la materia non sono scritte in tal senso.

Anche il procedimento penale in ambito sismico, che consente secondo l’art. 98 del DPR 380 al giudice (oppure secondo l’art. 100 alla Regione, se il reato è già estinto) di accertare la conformità delle opere eseguite o di riportare le opere stesse alla conformità, potrebbe non garantire il rispetto della “doppia conformità": in breve, i giudici della Suprema Corte sembrano condividere il parere di alcune pronunce "meno permissive" dei giudici amministrativi regionali (TAR), confermando che la regolarizzazione attraverso il procedimento penale suddetto potrebbe doversi assimilare a una “sanatoria giurisprudenziale” (non ammessa nel nostro ordinamento) e non a una sanatoria secondo quanto previsto nell’art. 36 del DPR 380.

Anche nei casi dell’art. 37 del DPR (che brevemente possiamo riferire alle “SCIA in sanatoria”) la necessità di controllare la doppia conformità conduce agli stessi esiti che la Corte di Cassazione illustra per i procedimenti secondo l’art. 36.

Va precisato che la necessità di regolarizzare gli aspetti sismici scaturisce molto frequentemente: è noto infatti che l’ambito di applicazione dell’originaria L. 64/1974 per le costruzioni in zona sismica (oggi vigente nel DPR 380) non includeva soltanto gli elementi “strutturali” delle costruzioni, bensì (art. 1) “[…] l’osservanza delle norme tecniche riguardanti i vari elementi costruttivi […] (oggi art. 52 del DPR 380), così come confermato dalla giurisprudenza consolidata, per l’esecuzione di elementi anche “non strutturali” appunto. Restano escluse dal deposito, secondo la giurisprudenza, soltanto le opere di semplice manutenzione ordinaria e quelle che possono ritenersi non influenti sulla pubblica incolumità, o comunque relative a quegli interventi (già abusivamente eseguiti) che non richiedevano e non richiedono l’applicazione delle regole del calcolo sismico (globale o locale) previste dalle NTC, come ben specificato nell'art. 83 del DPR 380, che stabilisce un rapporto biunivoco tra l'applicazione delle norme tecniche antisismiche e l'ambito di applicazione della disciplina antisismica.

Nessun "ravvedimento operoso" è possibile

In particolare, quindi, nessuno dei tre livelli di condotta riparatoria è sufficiente (secondo la Cassazione) per ottenere il permesso in sanatoria:

Pertanto, sempre secondo la Cassazione, il conseguimento della doppia conformità richiesta dall’art. 36 del DPR 380 non è possibile, perché mancano specifiche norme di raccordo tra le disposizioni che regolano la sanatoria edilizia (art. 36 del DPR 380) e quelle che governano la disciplina antisismica, e che quindi prevedano ”effetti sananti” in materia sismica.

L’esame della sentenza

Download: Sentenza 2357-2023 (vedi a partire dal punto 5, da pagina 14). 

Ma veniamo all'analisi della sentenza. Nelle parti in corsivo sono riportati gli estratti testuali del contenuto della sentenza depositata, mentre il resto del testo rappresenta una interpretazione personale di chi scrive.

La Cassazione ci informa innanzitutto di non aver mai affrontato l’argomento, nonostante si tratti di una questione legata all’incolumità pubblica e quindi da ritenersi particolarmente delicata:

<< Considerando le palesi finalità di tutela dell'incolumità pubblica che la specifica disciplina persegue e la diffusa sismicità del territorio nazionale, si tratta di questione particolarmente delicata >>

<< Ciò nonostante, l'argomento non risulta essere stato mai compiutamente trattato da questa Corte >>

La Cassazione cerca ora di trovare un raccordo tra la “sanatoria” sismica e la sanatoria edilizia:

<< Ed invero, per quanto riguarda le zone soggette alla normativa antisismica, si pone il problema del raccordo tra le disposizioni che regolano la sanatoria ex art. 36 del TU Edilizia e le specifiche disposizioni di cui agli artt. 83 e ss. del medesimo testo unico e la conseguente possibilità di sanatoria degli abusi edilizi realizzati in zona sismica >>

<< Considerando ora l'art. 36 del TU Edilizia, è evidente - come affermato dalla dottrina - che la stretta connessione tra autorizzazione sismica e permesso di costruire, di cui si è appena detto, incide in maniera significativa anche sulla procedura di sanatoria >>

Nel testo viene immediatamente ricordato che le pratiche sismiche a posteriori di deposito (art. 93) o di autorizzazione (art. 94) non sono previste dal nostro ordinamento:

<< […] venendosi a porre, in primo luogo, la questione della totale assenza di norme specifiche che consentano il rilascio di un'autorizzazione sismica postuma. >>

<< […] se la possibilità di ottenere una autorizzazione simica "in sanatoria" ad intervento ormai eseguito non è prevista, viene a mancare un necessario presupposto per il rilascio del permesso di costruire ai sensi dell'art. 36 TU Edilizia >>

<< […] la già ricordata assenza di specifiche disposizioni che prevedano espressamente la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità sismica, stabilendo al contrario gli artt. 93 e ss. che tale verifica deve precedere l'esecuzione dei lavori. >>

La Cassazione ci ricorda che, diversamente da quanto previsto per la costruzione di opere in assenza del permesso di costruire, un intervento abusivo realizzato in zona sismica fa scattare immediatamente la procedura penale (art. 98, DPR 380), con la quale il giudice, previa opportuna condanna, stabilisce se l’opera garantisce adeguati livelli di sicurezza o se sia necessario intervenire per garantirne la sicurezza e la conformità alle norme sismiche, a seguito di una violazione sostanziale (per un progetto o direzione lavori sbagliati) o amministrativa (per un mancato preavviso di deposito o per il mancato ottenimento dell’autorizzazione sismica). Nei casi in cui il reato sia “estinto” i procedimenti passano alla Regione, che segue lo stesso criterio indicato per il giudice. Tale procedura consente di evitare la demolizione delle parti realizzate abusivamente.

In particolare:

<< […] la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la mera riconduzione a conformità >>

<< […] come si ricava da quanto dispone il terzo comma dell'art. 98 […] con il decreto o con la sentenza di condanna, il giudice deve ordinare la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità dalla specifica disciplina, ma anche che possa impartire le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi ad essa, fissando il relativo termine >>

<< Analoga situazione è prevista dall'art. 100 in caso di estinzione del reato, laddove è stabilito che la Regione, in alternativa alla demolizione, possa ordinare l'esecuzione di analoghi interventi finalizzati alla riduzione in conformità delle opere illecitamente realizzate >>

<< […] la demolizione dell'intervento abusivo può essere evitata qualora tale regolarizzazione sia possibile. Il tutto all'esito di un procedimento penale, come si evince dal riferimento specifico al decreto penale ed alla sentenza di condanna >>

Poi la Corte evidenzia che la giurisprudenza di altri giudici, quelli amministrativi regionali e nazionali, non è mai giunta a conclusioni univoche, distinguendo le posizioni più severe rispetto a quelle più permissive:

<< La giurisprudenza amministrativa ha formulato interessanti considerazioni le quali, pur non pervenendo ad univoche conclusioni, offrono diversi spunti di riflessione >>

<< Vi è da un lato, infatti, una posizione più radicale che sembra escludere in ogni caso la possibilità dell'autorizzazione postuma [Richiamo alla Sentenza del TAR Campania: “va evitato il rischio di introdurre in una materia così delicata per l'incolumità delle persone - peraltro neppure pienamente disponibile da parte del legislatore regionale - una sorta di sanatoria giurisprudenziale fondata sull'accertamento postumo della conformità dell'opera” ] >> 

<< Altre pronunce propendono, invece, per la possibilità, a determinate condizioni, di una autorizzazione ad intervento eseguito (Cons. di Stato n. 4142/2021) […] e Cons. di Stato n. 3963 del  19/5/2022) >>

<< Secondo l'orientamento più permissivo, dunque, sarebbe possibile il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per opere realizzate in zona sismica ponendo rimedio all'originaria mancanza del nulla osta sismico attraverso una valutazione postuma della conformità dell'intervento eseguito alla specifica disciplina antisismica vigente all'epoca della sua realizzazione ed al momento in cui essa avviene. >>

Poi arriva anche il richiamo a quanto affermato nel 2013 da un'altra Corte, la Corte Costituzionale. In particolare, sul fatto che nel 2013 la Corte Costituzionale affermasse che la verifica della doppia conformità deve riferirsi anche al rispetto delle norme sismiche, la Cassazione rileva che tale conclusione…

<< […] non pare offrire decisivi spunti di riflessione circa l'assenza, nella disciplina urbanistica, di norme che prevedano espressamente un'autorizzazione sismica postuma, in quanto, pur non negando esplicitamente tale possibilità, focalizza piuttosto l'attenzione sul requisito della doppia conformità e precisa che la stessa comprende la disciplina urbanistica ed edilizia nel suo complesso, con la conseguenza che il permesso di costruire in sanatoria non può riguardare opere non conformi anche alla disciplina antisismica >>

Poi la Corte sottolinea che nelle soluzioni più permissive ci sono alcune criticità:

<< Tale soluzione, tuttavia, come sostenuto anche in dottrina, presenta alcuni aspetti critici >>

<< Quello più evidente è la già ricordata assenza di specifiche disposizioni che prevedano espressamente la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità sismica, stabilendo al contrario gli artt. 93 e ss. che tale verifica deve precedere l'esecuzione dei lavori >>

Da tutte le premesse arrivano le severe conclusioni:

<< […] l'orientamento piu rigoroso della giurisprudenza am­ministrativa sembra rispondere a criteri di maggiore prudenza >>

<< […] il rispetto del requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di violazione della disciplina antisismica >>

Alcune considerazioni

La Cassazione (che per definizione ci offre l’unico modo possibile di applicare correttamente le leggi per come sono scritte) ci ricorda principalmente che:

[…] la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la mera riconduzione a conformità, come si ricava da quanto dispone il terzo comma dell'art. 98 […]”.

Come è noto, infatti, un intervento abusivo realizzato in zona sismica fa scattare immediatamente la procedura penale (art. 98, DPR 380), con la quale il giudice, previa opportuna condanna, stabilisce se l’opera garantisce adeguati livelli di sicurezza o se sia necessario intervenire per garantirne la sicurezza e la conformità alle norme sismiche, a seguito di una violazione sostanziale (per un progetto o una direzione lavori sbagliati) o amministrativa (per un mancato preavviso di deposito o per il mancato ottenimento dell’autorizzazione sismica). Nei casi in cui il reato sia “estinto”, il procedimento passa alla Regione, che segue lo stesso criterio indicato per il giudice. Tale procedura consente di evitare la demolizione delle parti realizzate abusivamente.

Appare piuttosto evidente (a chi scrive) che la procedura appena descritta rappresenta a tutti gli effetti una verifica di conformità di carattere sostanziale, perché nel caso di abusi edilizi di certo il giudice (o la Regione), nella “riconduzione a conformità” controlla che l’intervento abusivo sia rispettoso delle norme tecniche vigenti nel momento della condanna. Al buon esito della procedura, come è noto, le parti abusive non devono essere demolite e si possono pertanto conservare e utilizzare (sebbene non si possa parlare di "sanatoria edilizia").

Ma la Cassazione ci segnala anche che:

“[...] mentre la giurisprudenza amministrativa ha formulato interessanti considerazioni le quali, pur non pervenendo ad univoche conclusioni, offrono diversi spunti di riflessione”.“[…] i giudici amministrativi, come segnalato in dottrina, hanno assunto posizioni non concordi”.

E qui sembra giocarsi la partita: come già riportato nella parte dedicata all'esame della sentenza, la Cassazione cita alcuni procedimenti della giustizia amministrativa che negano la possibilità di ottenere la doppia conformità, in quanto l’accertamento a posteriori della conformità alle norme tecniche antisismiche (da parte del giudice, o della regione, o anche eventualmente attraverso l’ottenimento di un’autorizzazione sismica postuma quando prevista a livello regionale) potrebbe essere equiparato a una “sanatoria giurisprudenziale”; la sanatoria giurisprudenziale è una fattispecie che non è ammessa nel nostro ordinamento, perché consiste nel garantire la conformità delle opere soltanto nel momento temporale della domanda e non anche quella al tempo dell’abuso.

Tuttavia, chi conosce la scienza delle costruzioni antisismiche può facilmente obiettare nel merito: nel caso della disciplina antisismica i livelli di sicurezza di oggi sono sempre più cautelativi rispetto a quelli del passato, ed è quindi evidente che se gli interventi abusivi rispettano i livelli di sicurezza di oggi, a maggior ragione rispettano anche quelli del passato e ciò garantisce sempre e implicitamente la doppia conformità sostanziale.

E questo dovrebbe essere ciò che conta: nel senso che a fronte di un intervento abusivo il cittadino è chiamato a "pagare" quanto dovuto per le irregolarità edilizie nel loro complesso, secondo la procedura che scaturisce dagli artt. 36 e 37 del DPR 380, poi è chiamato a dover "dimostrare" la sicurezza sismica a posteriori ed eventualmente a "pagare" attraverso la sua condanna penale, nel caso in cui la zona era già stata dichiarata sismica al tempo dell'abuso (e se il reato non sia ormai già estinto, come sempre succede per gli abusi del passato); ma la cosa importante è che gli interventi abusivi siano sostanzialmente e doppiamente conformi alle norme tecniche antisismiche, cioè che le opere abusive garantiscano la stessa sicurezza richiesta oggi (ossia la massima sicurezza prevista).

Ma la Cassazione fa notare che:

[…] si pone il problema del raccordo tra le disposizioni che regolano la sanatoria ex art. 36 del TU Edilizia e le specifiche disposizioni [della disciplina antisismica], […] venendosi a porre, in primo luogo, la questione della totale assenza di norme specifiche che consentano il rilascio di un'autorizzazione sismica postuma”.

In altre parole, i giudici della Suprema Corte ritengono che nel caso degli abusi edilizi in zona sismica non sia sufficiente seguire soltanto il procedimento penale già previsto (ab origine) dalla legge stessa, tramite il quale il giudice o la Regione garantiscono la piena sicurezza dell’intervento abusivo, in alternativa alla demolizione, ma sia necessario comunque risolvere anche la questione amministrativa (formale) di ottenimento dei titoli sismici previsti nei due momenti temporali. E siccome l’ottenimento di un titolo di "deposito sismico a posteriori" o di "autorizzazione postuma" non è espressamente previsto dalla legge, ecco che l’abuso non può risolversi in alcun modo con il permesso in sanatoria di cui all’art. 36 del DPR 380.

Tutto chiaro quindi, quanto paradossale; paradossale perché, evidentemente, per come le leggi sono scritte, il procedimento di riconduzione alla conformità di cui agli artt. 98 o 100 del DPR 380 non è “raccordabile” con la riconduzione a conformità di cui all’art. 36, anche se nella sostanza si tratta della stessa cosa, e cioè di una riconduzione a conformità dei livelli di sicurezza rispetto alle norme antisismiche più severe.

Si può di certo affermare che quando nel 1974 il legislatore ha scritto le regole della disciplina antisismica, che ancora oggi sono vigenti nel DPR 380, non aveva previsto la doppia conformità. Non lo ha fatto perché non ce n'era bisogno, in quanto l'intera procedura sismica stava in piedi da sola: nel caso di violazioni era prevista la "riconduzione a conformità". E resta paradossale anche che sia possibile dimostrare la doppia conformità sostanziale ai livelli di sicurezza delle norme tecniche antisismiche (anche eventualmente tramite il capitolo 8 del D.M. 17/01/2018), ma non sia previsto per legge il modo per trasmettere formalmente l’esito di questa dimostrazione (se non in alcuni dispositivi legislativi regionali, che però secondo la giurisprudenza più rigorosa citata dalla Corte di Cassazione sono illegittimi). Ed è paradossale anche il fatto che l’impossibilità di ottenere la sanatoria non distingua gli abusi minori e insignificanti da quelli di maggior importanza, e non tenga conto della differenza tra abusi edilizi in cui ci sia stata a suo tempo una violazione delle norme sismiche e quelli in cui la violazione originaria non ci sia stata (quando l’intervento abusivo, pur soggetto alla doppia conformità indicata dalla Corte Costituzionale, sia stato realizzato in zona non ancora dichiarata sismica).

Le conclusioni di chi scrive

Sembra illogico (o più semplicemente irreale) che la sola assenza di una specifica norma di raccordo fra la “sanatoria” sismica e quella edilizia dell’art. 36 del DPR 380, possa rendere inutili quelle conclusioni a cui sono pervenuti sia i giudici amministrativi del Consiglio di Stato (seppur nelle soluzioni più permissive richiamate nella stessa sentenza di cui qui si tratta), sia soprattutto la Corte Costituzionale; le quali conclusioni ammettono che la sanatoria sismica sia possibile dimostrando la doppia conformità alle norme tecniche antisismiche, ed eventualmente ottenendo i titoli a posteriori, come già avviene per gli altri aspetti edilizi.

E questo pare sufficiente a innescare quantomeno una situazione paradossale, nella quale il soddisfacimento delle condizioni è possibile (perché sono i giudici a dirlo), ma i modi per dimostrarlo non sono indicati con chiarezza, perché le procedure delle norme edilizie non sono perfettamente allineate con quelle delle norme antisismiche, a causa di un presunto vuoto normativo rilevato dalla Cassazione.

Ma il vuoto normativo è probabilmente solo apparente, sia perché la riconduzione a conformità è già prevista nella disciplina antisismica stessa, ma soprattutto perché in mancanza di più precise disposizioni non può essere invalidato il principio generale che consente di dimostrare la doppia conformità secondo l’art. 36 del DPR 380: “Il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

Dunque si tratta di procedere per analogia, secondo le regole già previste dal nostro ordinamento in quei casi in cui i principi di buona amministrazione devono prevalere (anche se la Cassazione su questo non non è d'accordo), perché se così non fosse significherebbe negare ogni permesso di sanatoria (e considerare illegittimi tutti quelli rilasciati in zona sismica dalla Pubblica Amministrazione negli ultimi 50 anni).

Avanti dunque, come sempre si è fatto in tutti i comuni (quantomeno in quelli lombardi), in ciascuno dei quali è l'organo di controllo a stabilire in quale forma deve essere presentata la documentazione per dimostrare la doppia conformità, anche sismica, di cui agli artt. 36 e 37, e segnala alla pubblica autorità le eventuali violazioni originarie della legge antisismica: e questo va nella direzione che proprio la Cassazione nella sua sentenza riconosce implicitamente: "La mancanza di una procedura puntualmente disciplinata dalla legge, inol­tre, potrebbe portare alla adozione di differenti prassi nei singoli uffici competenti".

Naturalmente la Cassazione non può sbagliare, per definizione, perché il suo intervento garantisce che le leggi vengano applicate per come sono scritte dal legislatore; tuttavia le perplessità restano, soprattutto se si pensa ai paradossi che scaturiscono dall’applicazione rigorosa del contenuto della sentenza stessa.

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