"SANATORIA SISMICA": MISSIONE IMPOSSIBILE!
di Gianluigi Maccabiani
di Gianluigi Maccabiani
15/05/2024
Con la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3645, pubblicata il 22/04/2024, si riaprono le danze delle interpretazioni giuridiche sul tema della cosiddetta “sanatoria sismica”. I giudici del massimo organo di tutela della giustizia nell'amministrazione pubblica fanno subito riferimento alle “innegabili lacune normative”. Testuali parole!
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, nel caso di interventi eseguiti abusivamente, la presentazione a posteriori di una pratica sismica è sempre possibile, e anzi è proprio necessaria. Pertanto, laddove sia richiesto il requisito della doppia conformità (secondo gli artt. 36 e 37 del D.P.R. 380) esso va garantito non soltanto mediante la dimostrazione a posteriori della doppia conformità sostanziale degli interventi abusivi alle norme tecniche antisismiche (secondo le parole usate dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia del 101/2013), ma anche attraverso l’acquisizione del giusto titolo sismico (deposito o autorizzazione) a posteriori, appunto.
Bisogna osservare che in questa Sentenza, pubblicata lo scorso 22 aprile 2024, i giudici del Consiglio di Stato affermano esattamente il contrario di quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella Sentenza n. 2357, pubblicata poco più di un anno prima (il 20 gennaio 2023), secondo la quale la presentazione delle pratiche sismiche a posteriori è assolutamente vietata, perché non è mai stata prevista dal legislatore.
Pertanto, in presenza di due pronunce in antitesi tra loro dei massimi organi giuridici dello Stato, pare impossibile adottare una procedura certa: non ci resta che seguire una strada oppure l’altra, ma in entrambi i casi il singolo organo di controllo potrebbe impedirci di proseguire, contestando alternativamente o la mancata presentazione della pratica sismica a posteriori (che sarebbe necessaria secondo il Consiglio di Stato per assolvere alla doppia conformità prevista dal D.P.R. 380), o viceversa la sua presentazione (che sarebbe vietata perché, come dice la Cassazione, il D.P.R. 380 prevede l’acquisizione di questi titoli soltanto in via preventiva, e non a posteriori).
Un concetto è chiaro: il permesso in sanatoria si può ottenere quando gli aspetti "sostanziali" (rispetto delle "norme tecniche antisismiche") sono già a posto, nei due momenti temporali (dell'abuso e della domanda di sanatoria), e si debbano regolarizzare soltanto gli “abusi formali”. Tuttavia, per la regolarizzazione formale in doppia conformità degli aspetti strutturali e antisismici il legislatore non ha previsto alcuna procedura esplicita. E qui nasce il problema.
Fino a oggi, la giurisprudenza si era espressa in questo modo:
La Corte Costituzionale ha confermato (con pronuncia n. 101/2013) che “l’accertamento del rispetto delle specifiche norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per conseguire il titolo che consente di edificare, al quale si riferisce il criterio della doppia conformità”. Tuttavia, pur affermando che la regola della doppia conformità vale anche per la normativa antisismica, la Corte non ha offerto spunti di riflessione circa l'assenza, nella disciplina urbanistica, di norme che prevedano espressamente un'autorizzazione sismica o un deposito sismico postumi. E anzi, la Corte si è sempre espressa affermando che le regole procedurali (nate in alcune regioni) in materia sismica sono da ricondurre a principi fondamentali statali, a cui le regioni possono dare solo attuazione di dettaglio, perché il rischio sismico “non tollera alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali”.
La giurisprudenza amministrativa dei TAR e del Consiglio di Stato (es. TAR Lazio 376/2020, TAR Campania 1347/2021), si è divisa su due posizioni non concordi (ce lo segnala esplicitamente la Cassazione in 2357/2023): da un lato, con “una posizione più radicale esclude in ogni caso la possibilità dell'autorizzazione postuma”; dall’altro, la posizione più possibilista ammette la presentazione di una pratica sismica “a intervento eseguito” a “determinate condizioni”.
La Corte di Cassazione ha invece affermato chiaramente (n. 2848/2019) che l’autorizzazione e il deposito sismici in sanatoria sono sconosciuti al legislatore statale, sia per gli aspetti penali, sia per quelli di “sanatoria amministrativa”. E più recentemente (con la ormai nota Sentenza 2357 del 20 gennaio 2023) ha confermato in maniera inequivocabile l’assoluta impossibilità di presentare depositi sismici e richieste di autorizzazione sismica a posteriori (così come confermato anche successivamente dalla stessa Corte nella Sentenza n. 35851 del 17 maggio 2023: senza la “preventiva” autorizzazione sismica la doppia conformità è da ritenersi esclusa). In pratica, secondo i giudici della Cassazione, la mancata previsione legislativa è significativa del fatto che la regolarizzazione formale degli abusi edilizi in zona sismica non è in alcun modo possibile, e che dunque è “negata in assoluto la sanabilità degli abusi in zona sismica” (testuali parole del Consiglio di Stato presenti nella citata recente pronuncia, a commento di quanto affermato dalla Cassazione). L'analisi completa della Sentenza della Cassazione si trova cliccando qui: https://www.sismicainlombardia.it/approfondimenti/il-raccordo-tra-sanatoria-sismica-e-sanatoria-edilizia.
Oggi, in antitesi rispetto a quanto sentenziato dalla Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato riafferma con forza e coraggio la posizione più possibilista, secondo la quale la presentazione a posteriori della pratica sismica è possibile, e anzi necessaria: “La carenza del titolo sismico preventivo non si risolve necessariamente in un rigetto, ove la parte dimostri di poterlo conseguire e di averlo in concreto richiesto, seppure in maniera postuma”.
Il Consiglio di Stato osserva infatti che se si negasse la possibilità di ottenere il titolo a posteriori si arriverebbe all’impossibilità a priori di applicare l’accertamento di conformità, con una sorta di annullamento degli articoli 36 e 37 del D.P.R. 380: testualmente “Negando in toto l’ammissibilità di un’autorizzazione sismica postuma, infine, essendo considerazione nota l’estensione del territorio soggetto alla relativa tutela in Italia, si rischierebbe di addivenire ad una sorta di interpretatio abrogans dell’art. 36 del T.u.e., in fatto difficilmente utilizzabile”.
Qual è dunque la strada giusta? Dobbiamo seguire le conclusioni a cui giungono i giudici della Cassazione oppure quelle del Consiglio di Stato? In effetti, entrambi gli organi di giurisdizione confermano la presenza di lacune normative e l’assenza di specifiche procedure di “sanatoria” per il mancato deposito sismico preventivo o per il mancato ottenimento dell’autorizzazione sismica di cui agli artt. 93 e 94. Perciò è difficile individuare la strada giusta per regolarizzare gli interventi abusivi.
Le strade (alternative) potrebbero essere le seguenti:
Tener conto delle conclusioni della Cassazione, che vieta di presentare la pratica sismica a posteriori, e procedere dimostrando la doppia conformità sostanziale alle “norme tecniche antisismiche” degli interventi edilizi difformi, e adottando poi la forma di presentazione che il singolo organo di controllo ritiene più adatta, in ragione del tipo e dell’epoca dell’abuso [NOTA 1]. Chi applica questa strada può essere fermato se l’organo di controllo sostiene che la dimostrazione di doppia conformità riguarda anche le “procedure amministrative”, e che quindi (come dice il Consiglio di Stato) è necessario acquisire oggi, a posteriori, i titoli che non erano stati acquisiti (attestazione di deposito sismico, oppure autorizzazione sismica, a seconda delle zone e del tipo di intervento).
Accettare le conclusioni del Consiglio di Stato, e dunque presentare la pratica sismica a posteriori, nella quale viene (fra l’altro) dimostrata la doppia conformità alle norme tecniche, con una valutazione della sicurezza secondo i metodi previsti dalle NTC 2018 per le costruzioni esistenti. Si tratterà di un semplice deposito sismico, oppure di una richiesta di autorizzazione sismica, a seconda del più severo tra i procedimenti in vigore al tempo dell’abuso e al momento della presentazione [NOTA 2]. Chi applica questa strada può essere fermato da chi sostiene (come i giudici della Cassazione) che la legge italiana non prevede in alcun modo l’acquisizione dei titoli sismici a posteriori, e anche dal funzionario comunale che (per esempio in Lombardia) non trova nelle procedure regionali la possibilità di presentare pratiche a posteriori (contenenti peraltro una valutazione della sicurezza a posteriori, e non il progetto dell'intervento, con tutto ciò che ne consegue, per esempio sulle certificazioni dei materiali, ecc.). Peraltro, il Consiglio di Stato non ha spiegato come superare il fatto che per opere già realizzate abusivamente le figure del direttore dei lavori e del costruttore potrebbero non essere individuabili, venendo così fra l’altro a mancare una delle prerogative del deposito sismico, cioè quella di riuscire ad attribuire le responsabilità laddove necessario.
In ogni caso, a quanto sopra si aggiungono i seguenti passaggi, dove applicabili:
Nel caso in cui gli interventi difformi [NOTA 3] siano stati realizzati con violazione della disciplina antisismica al tempo dell’abuso, oltre al rispetto della doppia conformità serve anche il superamento dell’iter processuale penale, che consente secondo l’art. 98 del D.P.R. 380 al giudice (oppure secondo l’art. 100 alla Regione, se il reato viene dal giudice dichiarato già estinto) di accertare la conformità delle opere eseguite o di riportare le opere stesse alla conformità [NOTA 4].
Se si decide di presentare la pratica sismica a posteriori, come indicato dal Consiglio di Stato, allora bisogna “forzare” la procedura amministrativa di Regione Lombardia, per esempio (ma probabilmente ciò accade in molte regioni d'Italia), in quanto nella L.R. 33/2015 e nella relativa D.G.R. 5001/2016 la possibilità di presentare pratiche a posteriori è esclusa, così come non è prevista la possibilità di non individuare il direttore dei lavori e il costruttore.
Nel caso in cui gli interventi difformi siano soggetti a collaudo statico, serve sempre presentare la pratica strutturale a posteriori (con l’art. 65 o con gli art. 93 e 94 del D.P.R. 380) per garantire la collaudabilità degli abusi ai fini della successiva agibilità della costruzione nel suo complesso. In effetti, la segnalazione di agibilità (che è pur sempre un passaggio obbligato, anche per i permessi in sanatoria), va corredata di regolare collaudo statico, oppure, per gli interventi locali, della dichiarazione di regolare esecuzione (che redatta a posteriori perde di significato). L’unica esclusione certa dall'obbligo di collaudo statico è quella degli interventi privi di rilevanza per l’incolumità: per essi non serve il collaudo e non serve allegare alcuna dichiarazione nel procedimento per l’agibilità.
Gianluigi Maccabiani
Scrivetemi qui: maccabiani@tecnolabingegneria.it
[NOTA 1]
In effetti, nella sua pronuncia (Sentenza 2357 del 20 gennaio 2023) la Corte di Cassazione afferma non soltanto che la presentazione delle pratiche sismiche a posteriori è sempre vietata, ma anche che appunto non è in alcun modo possibile ottenere la sanatoria prevista agli artt. 36 e 37 del D.P.R. 380. Tuttavia, questa conclusione, pur essendo probabilmente fondata e coerente dal punto di vista giuridico (infatti i giudici della Corte di Cassazione non possono sbagliare, per definizione), crea una situazione paradossale, nella quale l’assenza di un titolo formale impedisce la dimostrazione di una doppia conformità sostanziale, e nella quale (come dice il Consiglio di Stato) negando la presentazione formale a posteriori si nega l’applicazione degli artt. 36 e 37 del D.P.R. stesso. Ecco dunque il perché, a giudizio di chi scrive (e come già evidenziato in questo articolo: https://www.sismicainlombardia.it/approfondimenti/il-raccordo-tra-sanatoria-sismica-e-sanatoria-edilizia), la strada di dimostrare la doppia conformità sostanziale alle “norme tecniche antisismiche” (NTC), richiamate anche dai giudici della dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 101/2013, deve sempre essere concessa, indipendentemente dalla forma di presentazione e dalla procedura amministrativa. Bisogna comunque tener conto che nei casi di obbligatorietà dell'autorizzazione sismica (o al tempo dell'abuso, o al tempo della domanda), tale assenza è da considerare "sostanza", perché consiste nell'esame del progetto da parte dell'organo di controllo; in questi casi, pertanto, l'ottenimento dell'autorizzazione sismica a posteriori (secondo il percorso indicato dai giudici del Consiglio di Stato) resta sempre un passaggio obbligato. Per esempio, in Lombardia, l'obbligo generalizzato di autorizzazione sismica è restato vigente nei comuni in zona sismica 2 dal 10/04/2016 (entrata in vigore della DGR 5001/2016 con le procedure sismiche) al 18/04/2019 (pubblicazione del decreto Sblocca Cantieri).
[NOTA 2]
In effetti, la strada indicata dal Consiglio di Stato appare la più idonea: la presentazione del deposito sismico o della richiesta di autorizzazione sismica a posteriori consente non solo di soddisfare la doppia conformità a livello sostanziale e “formale”, acquisendo i relativi titoli mancanti, ma anche di produrre il certificato di collaudo statico (a cura di professionista terzo alle parti, secondo le regole formali previste nell’art. 67 del D.P.R. 380), necessario per garantire l’agibilità della costruzione comprensiva degli interventi abusivi, secondo l’art. 24, comma 5 del D.P.R. 380.
[NOTA 3]
Si vuole offrire il seguente spunto di riflessione. L'estensione del concetto di doppia conformità anche alle regole antisismiche è stata evidenziata in modo inequivocabile per la prima volta dalla Corte Costituzionale (n. 101/2013). Si tratta di opere che, per il solo fatto di essere state eseguite "abusivamente", e cioè in modo difforme da quanto indicato nel titolo edilizio, richiedono un controllo della conformità (doppia) anche dal punto di vista delle regole antisismiche. Non si tratta, quindi di individuare opere eseguite in violazione di norme antisismiche, ma banalmente di individuare opere eseguite senza il titolo edilizio, o difformi da esso, e appunto rappresentate negli elaborati grafici architettonici per la richiesta di permesso in sanatoria.
In effetti, la mancata presentazione di un deposito sismico per opere perfettamente conformi al titolo edilizio non costituisce un "abuso" di quelli da assoggettare a doppia conformità: si tratta semmai della necessità di attivare il procedimento previsto per le "violazioni alla disciplina antisismica", agli artt. 96 e seguenti del D.P.R. 380, con il quale il giudice impartisce le disposizioni per ricondurre a conformità le opere che hanno violato le norme sismiche al tempo della realizzazione; invece, è necessario dimostrare la doppia conformità nell'unico caso che in concreto può maniferstarsi, e cioè quello di opere difformi rispetto al titolo edilizio. In altre parole (a giudizio di chi scrive) si possono presentare i seguenti casi:
1) Opere difformi rispetto al titolo edilizio (o senza titolo): se tali opere riguardano (come conseguenza geometrica) anche aspetti antisismici, per tali opere va effettuato sempre il controllo di doppia conformità urbanistico e anche sismico (vedi Sentenza n. 101/2013 della Corte Costituzionale). E questo controllo deve essere effettuato indipendentemente dal fatto che le opere sia state eseguite o meno in violazione delle norme antisismiche al tempo della loro realizzazione: infatti, per il solo fatto che tali opere sono irregolari rispetto ai documenti presentati con il titolo edilizio, esse non potevano in ogni caso essere eseguite: sono illegittime sotto tutti i punti di vista. Se c'è stata o meno violazione delle norme antisismiche è invece un fatto che va accertato separatamente (perché se al tempo dell'abuso la zona non era ancora stata dichiarata sismica, non può esservi stata la violazione delle norme antisismiche, ma la doppia conformità resta necessaria); e l'accertamento della violazione fa scattare la segnalazione all'autorità giudiziaria secondo l'art. 96 del D.P.R. 380 e il conseguente processo penale di cui all'art. 98; il procedimento dovrà concludersi tenendo conto del fatto che per le opere difformi serve in ogni caso la doppia conformità, e che tale doppia conformità non può essere condizionata all'esecuzione di opere, neppure impartite dal giudice stesso.
2) Opere conformi rispetto al titolo edilizio (cioè ai documenti progettuali presentati con la pratica edilizia), ma eseguite in violazione delle norme antisismiche (es. mancato deposito sismico del progetto, mancato ottenimento di autorizzazione sismica se prevista, ecc.): per tali opere non va effettuato il controllo di doppia conformità, bensì deve essere attivata la segnalazione all'autorità giudiziaria secondo l'art. 96 del D.P.R. 380 e il conseguente processo penale di cui all'art. 98, e la relativa riconduzione a conformità, secondo i livelli di sicurezza previsti al tempo della violazione. E questo è facile da capire, perché basta pensare a un edificio perfettamente regolare rispetto al titolo edilizio, ma per il quale il deposito sismico è rimasto nel cassetto per 20 anni: la violazione delle norme c'è stata, ed è grave, ma ovviamente nessun provvedimento (del giudice o della regione) potrebbe comportare il ricalcolo dell'intero edificio con le nuove norme, per la sola omissione del deposito sismico.
[NOTA 4]
Qui bisogna fare attenzione: nella pronuncia citata, i giudici del Consiglio di Stato si attivano in un ammirabile tentativo di “raccordare” la procedura della “doppia conformità” (artt. 36 e 37 del D.P.R. 380) con quella di “riconduzione alla conformità” prevista nel D.P.R. 380: come è noto, infatti, un intervento realizzato in violazione della disciplina antisismica fa scattare immediatamente la procedura penale (artt. 96 e 98), con la quale il giudice, previa opportuna condanna, stabilisce se l’opera garantisce adeguati livelli di sicurezza o se sia necessario intervenire per garantirne la sicurezza e la conformità alle norme sismiche, a seguito di una violazione sostanziale (per un progetto o una direzione lavori sbagliati) o formale (per un mancato preavviso di deposito o per il mancato ottenimento dell’autorizzazione sismica).
Nei casi in cui il reato sia “estinto”, il procedimento passa alla Regione (art. 100), che segue lo stesso criterio indicato per il giudice. Tale procedura consente di evitare la demolizione delle parti realizzate in violazione di norme antisismiche. Ma su questo aspetto la Cassazione si è già espressa (Sentenza n. 2357 del 20 gennaio 2023): “[…] la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la mera riconduzione a conformità, come si ricava da quanto dispone il terzo comma dell'art. 98 […]”.
Invece, secondo la citata recente pronuncia del Consiglio di Stato la procedura della doppia conformità con l’acquisizione dei titoli sismici a posteriori potrebbe addirittura sostituirsi al procedimento dell’art. 98: “[…] il controllo postumo della regolarità sismica/strutturale, ove richiesto dalla parte, attivando il relativo procedimento, risponde esso pure a principi di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., nonché di economicità ed efficacia presidiati dall’art. 1 della l. n. 241/1990. Esso peraltro, in quanto si risolve in un controllo di conformità sostanziale anche alla luce delle sopravvenienze normative alla realizzazione dell’abuso, pare rispondere maggiormente alle esigenze di tutela dell’incolumità pubblica, che presuppongono intrinsecamente celerità di risposta, rispetto ad una valutazione delle stesse differita all’esito, non sempre egualmente veloce, del procedimento penale […]”.
Tuttavia, i giudici del Consiglio di Stato non sembrano chiarire in alcun modo il fatto che: 1) se la violazione non viene segnalata all’autorità giudiziaria, il funzionario pubblico si espone al mancato rispetto di quanto previsto nell’art. 96 del D.P.R. 380, che prevede appunto l’obbligo di segnalare le violazioni della normativa antisismica; 2) se viceversa la violazione viene segnalata, si attiva un procedimento (penale) che l’organo comunale (o regionale) non può in alcun modo fermare, sino al pronunciamento del giudice, che avviene tipicamente dopo qualche anno dalla segnalazione.
Soltanto nel caso in cui il giudice riscontri e dichiari l’estinzione del reato, le due procedure (la regolarizzazione formale con doppia conformità e il procedimento dell’art. 98) possono confluire, sino a essere sovrapposte nell’art. 100 (“Qualora il reato sia estinto per qualsiasi causa, la Regione – o il comune – ordina, con provvedimento definitivo, sentito l'organo tecnico consultivo della regione, la demolizione delle opere o delle parti di esse eseguite in violazione delle norme del presente capo e delle norme tecniche di cui agli articoli 52 e 83, ovvero l'esecuzione di modifiche idonee a renderle conformi alle norme stesse”).
La possibilità di sostituire la segnalazione all'autorità giudiziaria con la procedura di regolarizzazione con doppia conformità va dunque considerata con estrema cautela, perché riguarda anche procedimenti penali, sui quali l’organo amministrativo comunale non ha alcuna competenza.
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