IL "SALVA-CASA" PER GLI STRUTTURISTI: LA "SANATORIA SISMICA" È LEGGE
di Gianluigi Maccabiani
09/08/2024
Con la Conversione in legge (L. 105/2024) del Decreto Salva-casa (D.L. 69/2024) è stato confermato il nuovo approccio per la regolarizzazione degli interventi riguardanti la sicurezza strutturale e antisismica eseguiti in difformità.
Dal punto di vista edilizio le difformità sono classificabili in tre diversi casi, di importanza crescente:
1) Difformità entro le tolleranze (art. 34-bis).
2) Parziali difformità e variazioni essenziali (art. 36-bis).
3) Difformità per abusi gravi (art. 36).
E gli strutturisti dovranno operare di conseguenza... Ecco perché ho preparato tre tabelle corrispondenti ai tre casi indicati.
La novità di maggior rilievo rispetto al passato consiste nel fatto che per le difformità più ricorrenti (quelle dei punti 1 e 2) il legislatore ha abbandonato il concetto della “doppia conformità”, come meglio specificato di seguito.
Il provvedimento finale è leggibile con assoluta chiarezza sul portale normattiva, dove le parti modificate del D.P.R. 380 sono evidenziate.
Molte sono ancora le lacune normative, che si tramuteranno nelle consuete incertezze applicative nei diversi comuni del territorio. In coda all’articolo ho riportato le principali criticità non superate.
La mia personale interpretazione del Salva-casa - Procedure operative
Di seguito riporto tre tabelle (scaricabili in formato pdf) con proposte di procedure operative per l’applicazione concreta delle nuove regole da parte degli strutturisti.
Scrivetemi qui maccabiani@tecnolabingegneria.it per correggere gli errori di interpretazione.
Le criticità non risolte a seguito della conversione in legge
Nota: le tabelle di cui sopra contengono già le ipotesi di risoluzione delle criticità significative.In sintesi, i problemi applicativi e le incertezze che permangono per la “sanatoria strutturale” sono tantissimi. A giudizio di chi scrive, le criticità principali sono le seguenti:
Il contenuto minimo richiesto dall’articolo 93 del D.P.R. nazionale è definito a cura delle regioni, e ad oggi è riferito agli interventi ancora da realizzare, non a quelli già eseguiti; le piattaforme telematiche e le procedure regionali sono inutilizzabili fino all’introduzione di specifiche modifiche che tengano conto dei vari aspetti previsti dalle nuove regole. Per esempio, per le opere difformi non è necessaria la sottoscrizione del direttore dei lavori e dell’impresa esecutrice (invece le piattaforme telematiche richiedono oggi firme obbligatorie, pena la mancata possibilità di inoltro); nelle procedure regionali ci sono poi diversi moduli e dichiarazioni che mal si conciliano con opere già eseguite, seppur appartengono all’insieme dei documenti previsti nel “contenuto di cui all’art. 93” indicato dal legislatore. In altre parole, le nuove regole introdotte dal Salva-casa possono essere applicabili soltanto con interpretazioni da parte di ciascun organo di controllo.
L’iter di “sanatoria strutturale” del Salva-casa prevede che il tecnico abilitato produca una asseverazione al termine dei procedimenti di controllo. Tuttavia, il controllo sismico (regionale o comunale) per le opere difformi, la cui regolamentazione è in carico alle regioni secondo quanto previsto nell’art. 94-bis, non trova riscontro nelle procedure, sia perché le procedure oggi previste sono state scritte per gli interventi ancora da realizzare (con controlli sul progetto e sull’esecuzione in cantiere con regole di campionamento stabilite per legge), sia perché tali procedure potrebbero avere tempi incompatibili con quelli che si aspetta il cittadino per una richiesta di sanatoria e per una attestazione di stato legittimo.
Con la conversione in legge del Decreto Salva-casa, il legislatore ci dice che per la maggior parte delle opere eseguite in difformità (cioè con l'esclusione dei soli abusi più gravi) è sufficiente controllare il rispetto delle norme tecniche presenti al momento dell'abuso e che nei comuni ubicati in zone ad alta e media sismicità bisogna presentare lo stesso contenuto di un deposito sismico. Tuttavia, il legislatore non specifica a quale classificazione sismica fare riferimento, se a quella odierna, oppure a quella al tempo dell'abuso. Manca chiarezza. Letteralmente il riferimento sarebbe alla classificazione attuale (perché il legislatore non ha scritto "al tempo della realizzazione dell'intervento"). Ogni ingegnere strutturista invece può tranquillamente affermare che la classificazione sismica di riferimento è quella vigente nel comune al tempo dell’intervento, perché il legislatore chiede al contempo che l’attestazione riguardi i requisiti sismici (“capo IV della parte II...”) e sia riferita alle norme tecniche al tempo stesso della realizzazione; pertanto, se un comune oggi in zona ad alta o media sismicità, al tempo della realizzazione non fosse stato classificato in zona sismica, l’impostazione del legislatore perderebbe di significato per tutti i casi. Nota: per un primo supporto nell'individuazione della classificazione sismica dei singoli comuni in date antecedenti all'attuale sistema di classificazione, è possibile cercare nella terza colonna della tabella in questo file pubblicato a suo tempo come allegato all'O.P.C.M. 3274/2003: criteri_zone_sismiche.pdf . Fa fede, tuttavia, la classificazione stabilita in ogni singola regione.
Purtroppo, quella nuova previsione nel 36-bis, secondo la quale sembra che l’organo di controllo possa “imporre” l’esecuzione di interventi al fine di garantire il rilascio del titolo in sanatoria, va letta con cautela, perché può essere mal interpretata, in modi che non rispecchiano né l’interpertazione letterale del dispositivo, né le intenzioni del legislatore. Per come è scritto il testo del comma 2 del 36-bis, è concessa allo sportello unico la facoltà (“può condizionare...") di imporre interventi; semplicemente perché prima di questa legge la facoltà non c’era (non era possibile la sanatoria condizionata). Questa “facoltà” deve essere letta nel senso che la concessione avviene dietro esplicita richiesta da parte del cittadino, tesa a sistemare quelle difformità non in regola con le norme tecniche del tempo dell’abuso, per farle rientrare nell’alveo delle cose sanabili, secondo le regole; e non avviene secondo le iniziative o le scelte dell’organo di controllo. L’organo non può decidere assolutamente alcunché, ma deve semplicemente attenersi alle richieste presentate. Le richieste devono essere finalizzate a rimettere a posto ciò che non è sanabile nell'iter di accertamento della conformità. Mancano poi ulteriori precisazioni, ma sembra ovvio che per procedere con l'esecuzione delle opere per la corrispondente messa a norma, bisogna effettuare un regolare deposito sismico per nuove opere su edificio esistente, secondo le regole del capitolo 8 delle NTC 2018 (intervento locale, miglioramento, adeguamento), e secondo l’art. 93 del D.P.R. 380 (deposito per nuovi interventi). Per quanto riguarda l'iter edilizio, il legislatore non chiarisce che dovrebbe essere necessaria l'acquisizione di un titolo edilizio corrispondente al deposito sismico, all’interno dell’iter della sanatoria, per poter attivare i lavori.
Il legislatore ha previsto l’obbligo di presentare il “contenuto di cui all’art. 93”, e cioè il “progetto” di opere strutturali già eseguite. La logica del provvedimento è sbagliata: le opere difformi sono già realizzate, pertanto non è possibile presentare elaborati “progettuali”: si tratta invece di presentare elaborati grafici e valutazioni analitiche a posteriori che rappresentano le opere difformi per come sono state eseguite e verificate. Ogni strutturista sa che questo procedimento si chiama “valutazione della sicurezza” ed è fattibile se si segue un approccio simile a quello previsto per esempio nel capitolo 8 delle norme tecniche oggi vigenti, di cui al D.M. 17/01/2018. Soltanto mediante il procedimento di valutazione della sicurezza a posteriori è possibile garantire allo stesso tempo i livelli di sicurezza (di progetto e di esecuzione) di interventi già realizzati; viceversa, se veramente il legislatore si è convinto che sia sufficiente la presentazione dei soli contenuti “progettuali” (seppur concettualmente sbagliato), allora bisogna accettare il fatto che questa verifica dei requisiti è soltanto cartacea e teorica, e non può dare alcuna garanzia sull'esecuzione degli interventi stessi; e tuttavia il legislatore non ha previsto alcuna specifica forma di “collaudo statico a posteriori” degli interventi abusivi.
L’insieme degli interventi sanabili con conformità alle sole norme tecniche del tempo dell’abuso si è ampliato parecchio, visto che comprende oltre alle “tolleranze” anche le “parziali difformità” e le “variazioni essenziali”. Tuttavia, nulla viene specificato riguardo alla necessità di produrre il collaudo statico degli interventi eseguiti in difformità, e nulla viene indicato per la attestazione di agibilità di edifici contenenti tali opere eseguite in difformità per le quali si è ottenuta la regolarizzazione. In effetti, il collaudo statico delle opere in cemento armato e a struttura metallica e degli interventi in zona sismica è un adempimento formale (amministrativo) senza il quale ad oggi non sarebbe possibile utilizzare le costruzioni contenenti tali opere (l'art. 75 del D.P.R. 380 prevede addirittura un'azione penale per chiunque lo consenta). L'attestazione di agibilità richiede infatti la presentazione del certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67; e secondo l'art. 67 "Tutte le costruzioni di cui all'articolo 53, comma 1 [opere in cemento armato e a struttura metallica], la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità devono essere sottoposte a collaudo statico". Inoltre, secondo l’art. 62 del D.P.R. 380 l'attestazione di agibilità nelle zone sismiche è sempre condizionata alla presentazione del certificato di rispondenza, che viene sostituito proprio dal certificato di collaudo statico (vedi art. 67).
Per quanto riguarda il collaudo statico degli interventi eseguiti in difformità, non è chiaro il passaggio in cui all'art, 36-bis il legislatore chiede al tecnico abilitato di garantire la conformità degli interventi eseguiti abusivamente ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione. Perché tra i requisiti previsti dalle norme tecniche dovrebbero esserci anche le operazioni di collaudo. Infatti, il collaudo costituisce (come conferma il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici - Adunanza del 14/12/2010) un' attività "di accertamento tecnico specialistico per la verifica della sicurezza strutturale" e un'attività "di verifica e controllo, in relazione all'esecuzione di opere o lavori inerenti le costruzioni, ulteriore rispetto a quella esercitata da altri soggetti e caratterizzata dalla terzietà dell'organo che la compie in quanto non coinvolto nella progettazione e esecuzione delle opere o lavori oggetto di collaudo". Perciò le operazioni di collaudo costituiscono un "requisito tecnico" previsto da tutte le norme tecniche, non solo dalle NTC 2018, anche da quelle del passato [Nota 1]. In sostanza, le norme nazionali non sono ben coordinate tra loro, perché il legislatore non ha mai unificato il collaudo statico previsto dalle procedura amministrative (art. 67 D.P.R. 380/2001) con quello sostanziale previsto dalle norme tecniche (vedi anche stralcio del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nella [Nota 2]). Resta il fatto che l’atto di collaudo degli interventi strutturali sarebbe sempre necessario, per entrambi i motivi citati (amministrativo e sostanziale), ma il legislatore non sembra includerlo nelle procedure di accertamento di conformità e di successiva agibilità a seguito di accertamento. E il legislatore non ha comunque colto l'occasione per sistemare quanto previsto all’art. 24, comma 7-bis del D.P.R. 380, riguardo alla segnalazione di agibilità per interventi già realizzati e già legittimati.
Per la regolarizzazione degli abusi più gravi in "doppia conformità" (art. 36) il legislatore ha perso l’occasione per indicare nuove regole, magari sulla scorta della sentenza riepilogativa n. 3645 del 22/04/2024 del Consiglio di Stato, che ha posto come “obbligatorio” il deposito sismico a posteriori (e l’eventuale ottenimento della autorizzazione sismica, quando prevista). E i comuni restano ancora bloccati. La necessità di acquisire i titoli sismici a posteriori (e superare quindi i relativi procedimenti di controllo di merito sistematici o a campione), è ormai stata confermata dalla sentenza citata, seppur nell’ambito delle “innegabili lacune normative” del nostro ordinamento, e prima della pubblicazione delle nuove regole contenute nel decreto “Salva-casa”. L’assenza di precise disposizioni nazionali (o regionali), così come introdotte dal “Salva-casa” per i casi delle difformità nelle tolleranze, per le parziali difformità e per le variazioni essenziali, non dovrebbe precludere la possibilità della sanatoria per gli abusi più gravi, secondo quanto previsto nell’art. 36 del D.P.R. 380, ma la possibilità resta incerta e andrà valutata caso per caso dall’organo di controllo.
Per le "parziali difformità" e le "variazioni essenziali" (art. 36-bis), il legislatore si è concentrato sull’obbligo di presentare il “contenuto” di un deposito sismico nei comuni ad alta e media sismicità (zone 1 e 2, e di categoria I e II secondo il sistema di classificazione previgente). Tuttavia, al comma 1 e al comma 3 dell’art. 36-bis viene chiaramente indicato che il tecnico abilitato deve produrre una attestazione delle necessarie conformità, considerando i requisiti previsti dalle norme tecniche al tempo dell’abuso: appare evidente la necessità di certificare la sicurezza indipendentemente dalla zona sismica, e dunque sembrerebbe inevitabile la necessità di allegare anche una relazione tecnica, più o meno sintetica, per indicare quali siano le norme tecniche di sicurezza strutturale e antisismica vigenti al momento dell’abuso, e per illustrare la dimostrazione del rispetto dei requisiti previsti. Questa relazione tecnica dovrebbe essere presentata quantomeno nei casi di rilascio di "permesso in sanatoria", nei quali il funzionario svolge parte attiva, che presume un vero e proprio controllo di merito della situazione da sanare (più di quanto accade nei casi di ricevimento di una "SCIA in sanatoria"). Pertanto, indipendentemente dalla zona sismica, gli aspetti strutturali (sismici e non) devono sempre essere oggetto di specifica e adeguata comunicazione, anche nei comuni classificati al tempo dell'abuso in zona con bassa o senza sismicità (3 e 4, o di categoria III e non classificati), dove il legislatore non ha previsto la presentazione del “contenuto di cui all’art. 93” e dove non è previsto il controllo sismico.
Se veramente gli adempimenti sono soltanto quelli indicati dal legislatore, è chiaro che restano aperte situazioni paradossali. Per esempio, per opere abusive anche piuttosto consistenti (con “parziali difformità” e “variazioni essenziali”) e anche molto recenti, in zona 3 o 4, sembra che sia possibile eseguire abusi edilizi che poi possono essere regolarizzati presentando la sola dichiarazione prevista ai commi 1 e 3 dell’art. 36-bis (al più corredata della relazione tecnica, che però non è suscettibile di un controllo di merito regolamentato), con la quale un professionista attesta il rispetto dei requisiti previsti dalle norme tecniche vigenti al tempo della realizzazione, senza deposito sismico (e senza i relativi controlli a campione sul progetto e sull'esecuzione), senza gli elaborati strutturali e apparentemente senza il certificato di collaudo per le opere difformi sanate con l'art. 36-bis. Qualcosa non torna.
Il legislatore sembra dimenticare che nella quasi totalità dei casi previsti nell'ambito delle "tolleranze" (art. 34-bis), ma anche in alcuni casi di "parziali difformità", le variazioni non sono significative a fini sismici; o, per dirla come prevede il D.P.R. 380/2001, non sono "di carattere sostanziale", e sono oggi completamente escluse dal deposito sismico (art. 94-bis). Infatti, ogni strutturista sa che variazioni sulle misure dell'ordine del 5% o anche del 10% (rispetto al deposito sismico ante-difformità già agli atti) possono ritenersi ingegneristicamente non significative. Per questi casi, il legislatore avrebbe dovuto escludere la presentazione del “contenuto di cui all’art. 93” (e soprattutto il relativo superamento dei controlli), e ritenere sufficiente l'attestazione motivata del tecnico abilitato riguardo al rispetto delle norme tecniche antisismiche. Stesso ragionamento avrebbe potuto essere fatto per quanto riguarda le opere difformi che ricadono oggi negli elenchi degli interventi privi di rilevanza (sia per le tolleranze, sia per le parziali difformità) dal momento che, indipendentemente dall'introduzione di tale fattispecie nell'art. 94-bis nel 2019, sin dall’entrata in vigore dell’art. 3 della L. 64/1974 (oggi ancora vigente nell'art. 83 del D.P.R. 380): “Tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarate sismiche […], sono disciplinate […] da specifiche norme tecniche […]”; e veniva così stabilito un preciso e logico legame tra le norme tecniche per le costruzioni e le opere la cui sicurezza potesse interessare l’incolumità nel caso di evento sismico. In sostanza, tutte le opere significative a fini sismici devono essere regolate dalle norme tecniche; ed è vero ovviamente anche il contrario: se per un determinato intervento ogni regola di calcolo di tipo sismico delle norme tecniche appare irragionevole e di superflua applicazione, allora si è in presenza di un intervento da non assoggettare al deposito sismico, in quanto irrilevante per la pubblica incolumità nel caso sismico. Insomma, se per definizione sono opere "prive" di rilevanza... quale rilevanza possono avere?
Dal momento che le difformità edilizie (tolleranze, parziali difformità, variazioni essenziali) si individuano a partire dall’iter della pratica edilizia, sulla base cioè delle differenze fra i disegni architettonici dello stato di rilievo e i disegni architettonici dello stato autorizzato, il legislatore si è dimenticato di evidenziare che se il deposito sismico già agli atti (quello ante-difformità) è comprensivo delle parti eseguite abusivamente entro le difformità previste (seppur in contrasto con i disegni associati al titolo edilizio) non dovrebbe essere necessario ripresentare gli elaborati corrispondenti al "contenuto minimo richiesto dall'articolo 93", ma pare sufficiente la dichiarazione prevista nel comma 3-bis, con la quale si attesta la conformità delle opere ai requisiti delle norme tecniche.
Cosa succede se nel caso delle difformità da regolarizzare con la presentazione del "contenuto minimo richiesto dall'articolo 93" si scopre che il deposito sismico originario ante-difformità non si trova agli atti? Il legislatore non evidenzia questo caso, perché dà per scontato che le parti edilizie conformi al titolo siano anche dotate dei corrispondenti titoli sismici. In effetti, se la costruzione è in regola con il titolo edilizio, la presenza o l'assenza del deposito sismico originario della costruzione non è un fatto che riguarda la procedura di accertamento di conformità degli interventi abusivi non in regola con il titolo edilizio. L'assenza del deposito originario e del corrispondente certificato originario di collaudo statico riguarda il procedimento originario di agibilità; non è necessario presentare il deposito sismico originario o il collaudo statico originario se l'agibilità è già stata attestata; mentre per il collaudo statico degli interventi abusivi e regolarizzati con sanatoria il legislatore non ha previsto niente di esplicito e il procedimento al momento è incagliato per via della mancata emanazione del decreto previsto all'art. 24, comma 7-bis per gli interventi già eseguiti e legittimati con sanatoria.
Il legislatore ha introdotto la possibilità di presentare a posteriori la "documentazione tecnica sull'intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall'articolo 93, comma 3", e cioè il deposito sismico, con riferimento alle opere eseguite in difformità. Questa procedura consente letteralmente di rimediare al mancato deposito e al mancato ottenimento dell'autorizzazione sismica per le opere eseguite, e conferma quindi la violazione a suo tempo delle disposizioni antisismiche vigenti all'epoca dell'abuso. Il legislatore, tuttavia, non chiarisce se il pubblico funzionario venuto a conoscenza della violazione si possa sottrarre dall'obbligo di applicare l'art. 96 del D.P.R. 380/2001, il quale articolo prevede la denuncia automatica all'autorità giudiziaria, e l'avvio di una procedura penale che non può essere interrotta se non da un giudice, con prescrizioni riguardanti gli aspetti sismici delle parti eseguite in violazione o con il rinvio (nel caso di reato estinto) all'organo regionale, per l'imposizione di analoghe prescrizioni tecniche (vedi anche nota 4 nella pagina https://www.sismicainlombardia.it/approfondimenti/sanatoria-sismica-missione-impossibile).
Nota [1]
Il collaudo è anche un requisito previsto dalle norme tecniche, e non soltanto un atto amministrativo: per esempio, nelle "Norme per l'esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice od armato" di cui al Regio Decreto n. 2229 del 16/11/1939, erano previste specifiche operazioni tecniche, che si dovevano concludere con il rilascio di certificato di collaudo da parte di un ingegnere "di riconosciuta competenza", iscritto all'albo; anche nelle "Norme tecniche alle quali devono uniformarsi le costruzioni in conglomerato cementizio, normale e precompresso ed a struttura metallica" di cui al D.M. 30/05/1972, erano previsti specifi compiti tecnici per il collaudatore designato. Nella norma "Provvedimenti per l'edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche", di cui alla Legge n. 1684 del 25/11/1962, era previsto un controllo tecnico per il rilascio del necessario "certificato di rispondenza", sostituito poi sempre dal certificato di collaudo statico; nelle "Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura", di cui al D.M. 20/11/1987, era previsto un insieme di specifici accertamenti tecnici, e la produzione del certificato di collaudo statico, a cura del collaudatore designato, appunto.Nota [2]
Le norme nazionali non sono ben coordinate tra loro, ma il collaudo statico è sempre necessario: Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici - Adunanza del 14 dicembre 2010: "Il collaudo statico è inteso quale attività di accertamento tecnico specialistico per la verifica della sicurezza strutturale [...]. In merito la Sezione ritiene che, pur in assenza di una norma di rango primario che estenda a tutte le strutture indipendentemente dal materiale impiegato le procedure previste dall'art. 7 della Legge 1086/71 e dall'art. 67 del DPR 380/01 in relazione alle strutture portanti realizzate in calcestruzzo armato semplice e precompresso o in acciaio, le procedure predette, possano essere utilmente adottate anche in relazione a tutte le strutture con qualsiasi materiale realizzate. Resta in ogni caso obbligatoria l'esecuzione del collaudo statico di tutte le strutture portanti diverse da quelle nomiate dalla Legge 1086/71, ancorché attuato con modalità diverse".® Riproducibile citando la fonte
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